Dopo due stagioni caratterizzate dal dominio incontrastato o quasi, per la prima volta la Red Bull si trova ad affrontare il summer break con numerose incognite all’orizzonte. Sebbene il bilancio non possa considerarsi insufficiente alla luce della leadership in entrambe le classifiche mondiali, la stagione fin qui disputata è stata tutt’altro che serena e lineare. Ai dissidi interni emersi già all’alba di questo mondiale si è aggiunta una flessione sul fronte prestazionale, che ha dato spazio alla crescita degli avversari diventati improvvisamente diretti. Una serie di punti interrogativi a cui la scuderia di Milton Keynes dovrà dare risposta per difendere il ruolo di prima forza attribuito dalla classifica attuale.
Una prima metà di stagione fra luci e ombre
Dopo il dominio siglato dal binomio Red Bull-Verstappen dello scorso anno, il team ha iniziato la propria stagione con un clima tutt’altro che caratterizzante per i campioni del mondo in carica. Già dalla presentazione della monoposto i riflettori erano puntati su faccende extra pista, con il caso Horner scoppiato sul finire della pausa invernale. Una situazione che seppur non abbia destabilizzato l’organigramma interno (almeno inizialmente) della squadra, è stata la prima tesserina di un effetto domino che ha modificato gli equilibri di un meccanismo perfetto fino a pochi mesi prima. Con l’inizio del campionato i dissidi interni sono emersi con lo scoppiare dell’Horner-gate ma sono stati messi nell’ombra grazie ad un Verstappen che si è reso protagonista di un avvio di stagione in stile 2023. L’olandese ha infatti dominato la scena dei primi due weekend in Bahrain e Arabia Saudita, il tutto condito da una Red Bull capace di completare due doppiette. Dopo due settimane dal primo spegnimento dei semafori, il destino del mondiale sembrava ormai faccenda del solo tre volte Iridato. Non c’erano segnali di preoccupazione – nonostante le parole di papà Jos – neppure dopo il problema di affidabilità in Australia, che aveva consegnato il successo alla Ferrari di Carlos Sainz. Infatti nei due weekend successivi, in Giappone e Cina, Max è tornato a riprendersi la scena con prepotenza. Ma dalla gara di Miami qualcosa è cambiato…
Con l’introduzione del primo pacchetto di sviluppi da parte della McLaren, la RB20 non è più parsa dominante come invece era stato nei GP precedenti. Nella gara in Florida Max Verstappen non è riuscito a mostrare i muscoli come era suo solito fare, tanto che Lando Norris è riuscito ad imporsi, portando subito al successo la scuderia di Woking. Una McLaren che ha proseguito questo trend di crescita anche nelle gare seguenti, tanto che il successo di Verstappen ad Imola è stato incerto fino alla bandiera a scacchi. Nessuno però si sarebbe aspettato la frenata di cui si è resa protagonista la Red Bull fino alla pausa estiva. Dopo la vittoria in Emilia Romagna, Verstappen si è ripetuto soltanto in Canada e Spagna, mostrando però come si trattassero di successi firmati dal pilota piuttosto che della vettura. Con gli aggiornamenti introdotti dal team di Milton Keyes anche il calibro del campione del mondo non è stato sufficiente per fronteggiare una vettura improvvisamente diventata più complicata da interpretare, con evidenti ripercussioni in termini di risultati in pista. Una scalata di marcia che ha scalfito anche il carattere glaciale di Max, che in più occasioni nelle gare estive ha mostrato quei tratti esuberanza che sembravano ormai un ricordo passato. I nervi tesi del pilota che porta il numero 1 sulla scocca sono emersi in occasioni come il duello al limite con Norris in Austria, concluso con il contatto fra i due, nonché in gara in Ungheria, nella battaglia con Hamilton. Un GP, quest’ultimo, che ha manifestato in mondovisione come il clima all’interno del team non sia così sereno come eravamo abituati ad osservare. In gara a Budapest Verstappen si è scagliato senza mezze misure nei confronti della squadra. Per quanto le accuse forti vadano comunque misurate alla luce della gara frustrante che stava disputando, al tempo stesso hanno dimostrato come il clima nel garage sia tutt’altro che idilliaco.
La necessità di recuperare Perez per difendere il titolo costruttori
Se ad inizio stagione le prestazioni potevano offuscare i dissidi interni, i passaggi a vuoto delle gare prima della sosta hanno fatto riemergere l’aria instabile della squadra. Nonostante Max sia legato alla Red Bull fino al 2028, il paddock non lo ha mai completamente escluso dal mercato. Alla situazione tesa ai vertici del team, si è sommato anche il corteggiamento di Toto Wolff, che non ha mai tolto lo sguardo dal campione olandese. Sebbene ciò sia anche da relegare anche ad un gioco delle parti, il vaso di Pandora è stato scoperchiato su tutti i fronti e rimettere ordine non sarà semplice. Ad aggravare il bilancio anche la perdita di Adrian Newey, una figura chiave nei successi Red Bull, nonché la separazione a fine stagione con il DS Jonathan Wheatley. A contribuire negativamente anche l’assenza di Sergio Perez, che seppur rinnovato non è mai stato al sicuro a livello di sedile. Dopo la gara a Spa la Red Bull ha tenuto a precisare come la posizione del messicano rimarrà la stessa quantomeno fino a fine stagione. Questo non cancella però il bilancio impietoso di Perez. Reggere il confronto con Max sarebbe un’impresa per chiunque, ma il pilota di Guadalajara dopo un inizio positivo ha smesso di fare ciò che il team si aspetta da lui. La sua stagione finora è stata caratterizzata da gare in ombra, errori e deficit di performance anche nei confronti di avversari inferiori. Una serie di fattori che si stanno rivelando penalizzanti a livello di classifica, con una McLaren che si è ormai messa in scia. Alla Red Bull spetta quindi l’arduo compito di recuperare Perez per provare a difendere il titolo costruttori. A ciò si aggiunge anche quello legato al ritrovamento della performance, per evitare una flessione poco all’altezza di un gruppo che fino a pochi mesi fa si era mostrato perfetto in tutto e per tutto.