Team F1: tra futuri fumosi e manager concentrati a tenersi la poltrona

8 Giu, 2023

“Tanti milioni per cosa?”. Ci sono in realtà diversi motivi che giustificano gli stipendi a sette cifre (otto in un paio di casi) che percepiscono oggi i team principal di Formula 1. Ad un manager chiamato a gestire un’azienda con in media mille dipendenti, si chiede principalmente una cosa: prendere decisioni. La F1 ha vissuto periodi in cui ai vertici delle squadre c’erano i fondatori/proprietari, abituati a decidere in casa propria senza dover rendere conto a nessuno ed assumendosene i rischi in prima persona.

Negli ultimi anni le strutture delle squadre di F1 si sono evolute, istituendo la figura di un amministratore delegato affiancato da un team principal. Questo ha portato ad una divisione di compiti e responsabilità, con il risultato che oggi il contesto in cui vengono prese le decisioni strategiche che determinano il futuro a medio e lungo termine di una squadra è diventato più fumoso. Ma l’aspetto che colpisce maggiormente è che le decisioni in sé sono calate in modo drastico, dando forma ad uno scenario nel quale la parola giuda è “stabilità”. Su alcuni fronti i punti fermi sono essenziali per la crescita di un team, ma ce ne sono altri in cui i benefici sono tutt’altro che scontati.

F1, Ferrari CEO, Benedetto Vigna

F1, Ferrari CEO, Benedetto Vigna

Il mercato piloti è un esempio molto chiaro, ma non l’unico, di come oggi tutti evitino di prendere decisioni se non obbligati dalle circostanze. Questo perché la prima esigenza di un manager, prioritaria anche sull’operare nell’interesse della squadra, è non incappare in passi falsi. Va da sé che meno decisioni si prendono, meno possibilità ci sono di commettere errori. Ecco allora i contratti di cinque o più anni, ecco le conferme di piloti che in fin dei conti non fanno poi male, che non creano problemi svolgendo un buon lavoro ordinario. Il tirare avanti è un traguardo importante per chi ha una posizione molto buona, perché esporsi a rischi che potrebbero comprometterla?

Nessuno oggi si esporrebbe per avere con sé il rookie Michael Schumacher, come non esitò a fare Flavio Briatore nel 1991, o decidendo di far esordire un giovane su una monoposto da mondiale come fece Ron Dennis nel 2007. Ci sono ancora delle eccezioni, ed una di queste è Helmut Marko, manager che negli ultimi quindici anni ha deciso in autonomia la line-up dei piloti Red Bull. Ma ha potuto farlo grazie al solido rapporto che lo ha sempre legato al fondatore del gruppo austriaco Dieter Mateschitz e per una questione anagrafica, che lo ha messo al riparo dal rischio di compromettere la sua carriera professionale.

F1, Red Bull Manager, Helmut Marko & Red Bull Owner, Dieter Mateschitz

Red Bull, Helmut Marko & Dieter Mateschitz

Per una corposa fetta dei manager che operano oggi in F1 le ambizioni in pista e gli investimenti nel lungo periodo sono fattori secondari rispetto al mantenimento dello status. E questo perché certi privilegi che in passato erano legati in grossa parte al raggiungimento di obiettivi ambiziosi, oggi sono garantiti a prescindere. Si battono vie ben conosciute, ogni cambiamento è ponderato e deve essere praticamente a rischio zero. Ovviamente chi è al vertice non sente la necessità di cambiare le cose, ma anche tra chi insegue tutto è calmo e ponderato, tanto va bene così.

Autore: Un appassionato di corse

 

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